Quanto siamo poveri? Numeri, dati e pensieri.

 

Quanto siamo poveri? Numeri, dati e pensieri.

14 agosto 2013 alle ore 18.37 di Mila Spicola

Continuo la mia analisi sulle difficoltà del ceto medio (quasi spazzato dalla crisi) e sull’entità della povertà in Italia a partire dal crollo dei consumi e delle spese in beni e servizi. 

Finalità? Capire in che modo il blocco degli stipendi statali si ripercuote su tutta l’economia del paese dei consumi di beni e servizi, con buona pace della contentezza del mio tabaccaio o della mia commercialista, se bloccano il reddito a me chi ci va di mezzo per primi son loro. Li elimino.

 

In Italia, 5 milioni circa di persone risultano in condizione di povertà assoluta. La metà di questi risiedono al Sud che ha però una popolazione pari solo al 34,4% di quella nazionale

Il crollo dei consumi in Italia ha messo in evidenza come l’Italia sia tra i paesi europei che registrano le maggiori diseguaglianze nella distribuzione dei redditi e che, nel suo caso, la diminuzione dei consumi si è associata ad un divario nella distribuzione della ricchezza accentuatosi durante la crisi: oggi circa la metà del reddito totale in Italia è in mano al 10% delle famiglie mentre il 90% deve dividersi l’altra metà.
Impressionante è ormai  il divario dei consumi nel Mezzogiorno, penalizzato peraltro dalla presenza di più alti indici di povertà, rispetto alle altre grandi aree del paese. Cominciamo dalla ricognizione di quest’ultimi.

 

Tra il 2007 e il 2012 l’Italia ha perso 113 miliardi di euro (prezzi 2012). Di questi: 72 miliardi di euro sono la quota perduta nel Centro-Nord e 41 miliardi di euro quella del Sud.

L’economia meridionale pesava all’ inizio del periodo il 24% sul totale nazionale ma ben il 36% del Pil perduto ha riguardato proprio l’economia del Mezzogiorno [3].

La soglia di povertà relativa, secondo l’Istat, sulla quale poi si calcola la povertà assoluta, è pari per una famiglia di due componenti a 991 euro mensili con conseguenti ponderazioni per altre tipologie familiari.

Nelle regioni del Mezzogiorno la povertà è più diffusa rispetto al resto del paese.

 

Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (29,6%), Campania (25,8%), in Calabria (27,4%) e in Puglia (28,2%).

In Sicilia dunque oltre una famiglia su quattro può essere considerata in condizione di povertà.

 

Veniamo alla povertà assoluta calcolata dall’ Istat sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che nel contesto italiano, e per una determinata famiglia, è considerato essenziale ad uno standard di vita minimamente accettabile. In Italia, il 5,8% delle famiglie residenti (1 milione e 725 mila famiglie) risultano in condizione di povertà assoluta per un totale di circa cinque milioni di individui.

 

La metà di questi risiedono nel Mezzogiorno che ha però una popolazione pari solo al 34,4% di quella nazionale.

Se entriamo nel dettaglio territoriale ci troviamo di fronte a dati ancora più sconvolgenti:

a Palermo ci sono 45 mila famiglie in condizioni di povertà assoluta, (centomila persone), circa il 10% in più rispetto allo scorso anno, numeri sei volte superiori a quelli della città della Lombardia e del Piemonte, che dovrebbero sopravvivere con un reddito zero [4].

 

Vediamo ora le diseguaglianze di reddito disponibile per consumi tra le regioni del Sud e le altre.

 

In Trentino una famiglia ha una spesa mensile media pari a 3.000 euro circa seguita a ruota dalla Lombardia (2.866 euro) e dal Veneto (2.835 euro).

Mentre nel Mezzogiorno il reddito disponibile per consumi è ben più basso: in Calabria si attesta a 1.762, in Campania e Puglia sui 1.896 euro.

Fanalino di coda noi siciliani: in Sicilia la media di reddito disponibile per consumi è il più basso d’Italia, cioè si attesta a 1.628 euro, a oltre 1.200 euro di differenza col Trentino.

 

Altri parametri denunziano forme di dualismo tra Nord e Sud con riferimento al reddito disponibile.

Una ricerca sul grado di esposizione al rischio di indebitamento e misura delle province italiane [5] vede negli ultimi 25 posti della graduatoria unicamente province meridionali.

 

Veniamo ora al taglio dei consumi nel 2012 che riguarda, nel Sud, tra l’altro, abbigliamento (-5%) e arredamento (-4,8%) [6].

Ma soprattutto sono in calo anche le spese destinate alla salute, ferme al Sud al 3,4% del totale dei consumi, a partire dalla riduzione di quelle per i medicinali, per le visite specialistiche e per la cura dei denti, mentre restano stabili quelle per analisi cliniche e accertamenti diagnostici [7].

Abbiamo finora ragionato sui dati. Ma altre osservazioni ci costringono a collegarci con fenomeni meno classificabili dal punto di vista quantitativo.

La “deprivazione” del Mezzogiorno viene vissuta finora senza manifestazione di rabbia sociale quasi invisibili meccanismi di assistenza contribuissero a contenerla e alleviarla.

O perché consistono in forme di welfare percepite illegalmente che non ci si preoccupa – forse volutamente – di scoprire e penalizzare.

In sostanza, c’è  una divaricazione che va oltre condizioni di reddito e che si traduce nel sud in una ampia condizione di illegalità “soft” tollerata. Più pericolosa, a ben riflettere, di un dualismo puramente economico, in teoria superabile con interventi di tipo strutturale.

Il crollo dei consumi purtroppo non ne dimostra l’abbandono. Anzi, una più efficace rielaborazione.

 

[3] Censis, La crisi sociale del mezzogiorno, 2013.

[4] C.Brunetto, Centomila persone a zero euro, La Repubblica – Palermo, 13 luglio 2013.

[5] M.Fiasco, Indebitamento patologico e credito illegale, Camera di Commercio di Roma, 2013.

[6] Analisi sull’andamento dei consumi, non disaggregati per area, segnalano una diminuzione dei consumi, per quattro milioni di famiglie ed uno spostamento degli acquisti in prodotti scontati, marchi senza pubblicità e primi prezzi (Federdistribuzione). Inoltre, a partire dal 2012, i risparmi incrementali sul largo consumo, che in totale sono ammontati a due miliardi di euro, si sono concentrati per il 40,6% nella riduzione di volumi d’acquisto. Quindi in pratica, nel comprare meno cose. Tendenza confermate nei primi cinque mesi del 2013 (indagine Nielsen), cfr. F.Sarcina, La crisi cambia la mappa della spesa, Il Sole 24 ore, 7-7-2013. Si veda altresì E.Livini, Quando stringere la cinghia non basta più, La Repubblica, 3-7-2013.

[7] Dati Istat, 2012.

 

fonte dati: www.sbilanciamoci.info.

 

Fatevi il calcolo anche voi.

Ho fatto il calcolo che il crollo dei miei consumi ( e sono persona sola) ha tolto una quota lavoro di quasi cento persone in 4 mesi. Faccio un esempio veloce: zero libri (meno introiti per: libraio, spedizioniere, editore, stamperie, uffici stampa, giornalisti di cultura), quasi zero vestiti (negoziante, addetti trasporti, stilista, rivenditori stoffe, operai fabbrica abbigliamento, produttore abbigliamento), zero dentista, zero medico, zero avvocato, metà mangiar fuori (ristoratore, cuoco, camerieri), zero turismo (tutta la catena del turismo, a partire dai viaggi e a finire ad alberghi, musei, luoghi artistici, etc…), zero aggiustare cose a casa che si rompono, zero pensare di acquistare oggettistica o arredo, zero l’idea di fare il secondo bagno (settore edile ammazzato), zero giornali su carta, metà cinema, cibo l’essenziale (niente merendine, cibi vari, dolci, bene per la linea male per il commercio e la produzione), metà parrucchiere, metà estetista, zero palestra, …continuo? E io son sola.

 

Fate il calcolo anche voi di quante quote lavoro altrui avete azzerato negli ultimi tre mesi e come confermereste tale trend con l’idea dello stipendio bloccato.

 

Adesso invece fatevi il calcolo del risparmio supposto dallo Stato per il blocco degli stipendio sotto i duemila euro a fronte delle spese per il costo sociale reale per sostenere i poveri assoluti (in aiuti, assistenza, supporto a quelli che sta peggio di me), il costo indotto dal sostenere i disoccupati esistenti, quelli messi per strada dal blocco spese mio e vostro, e dal crollo indotto su partite iva e libere professioni che campavano con noi e che lo Stato in qualche modo deve rimettere nel mondo economico.