Una nota di Luciano Nicastro filosofo e sociologo ragusano IL VOTO DEI CATTOLICI

 

13/01/2013 RagusaOggi

Una nota di Luciano Nicastro filosofo e sociologo ragusano

IL VOTO DEI CATTOLICI

Luciano_nicastro_zoom

Il Paese ha ancora bisogno dei cattolici, di una loro matura fedeltà ai valori, ai diritti e doveri costituzionali della persona umana e della libertà religiosa, della famiglia, della democrazia e di uno Stato più pulito e più unito, di una laicità più diffusa, più spirituale e più credibile, di una economia della solidarietà attiva nei territori e nel tessuto sociale dell’intera nazione, nel Nord e nel Sud del Paese.

Mentre continuiamo a soffrire le ferite quotidiane della crisi economica e finanziaria, nella pelle dei poveri e del ceto medio, dei giovani e delle donne che sono senza lavoro e senza futuro,  l’antipolitica miete consensi nel popolo a causa dei magna latrocinia della casta ai vari livelli mettendo in crisi la tenuta dell’etica pubblica e il sistema democratico. I Vescovi da tempo hanno parlato della necessità di una maggiore coerenza e di una più visibile trasparenza negli affari delle istituzioni. Papa Benedetto XVI aveva in più occasioni auspicato l’avvento in politica di una nuova generazione di politici cattolici più coerenti e responsabili, un nuovo corso del bene pubblico del Paese. Al di là delle appartenenze associative e delle convenienze di tribù, il voto dei cattolici questa volta deve essere più politico e più pulito, più spirituale e coerente. In questo senso più ragionato e libero, più laico ed efficace in ordine al bene comune perché stiamo diventando più poveri sul piano economico e su quello morale. Bisogna incominciare a respirare un’ aria più fresca nella società civile senza filtri mediatici (compresi i social network!). Secondo Davide La Valle ciò che caratterizza la democrazia “moderna”, basata sul conflitto, è «una sana e mite competizione tra idee, valori e interessi diversi».  Essa ha la capacità maieutica di valorizzare l’insieme attraverso comuni regole condivise (Le regole del gioco: N. Bobbio 1991) per risolvere periodicamente i conflitti in modo pacifico. Democratica è la società se vive della diversità come ricchezza e favorisce il concorso di tutte alla elaborazione del comune bene pubblico generale. La Democrazia moderna non si basa sulla telecrazia ma sulla poliarchia (R. Dahl ,1998) e sul contributo dei mondi vitali. Nella società democratica l’altro “non è un nemico da eliminare” ma un avversario con il quale competere per decidere una soluzione comune, nei fini e nei contenuti, ai problemi comuni. Nella competizione democratica, sottolineava J. Schumpeter (1994), «gli uomini politici sparano parole invece che pallottole». La democrazia quindi non elimina ma regola e addomestica il conflitto sociale, culturale e politico per mezzo di elezioni generali (K. Popper 1996). La democrazia è costruttiva e ricostruttiva, un sistema regolativo da salvaguardare perché riesce a garantire una libera concorrenza tra leaders (G. Sartori, 1957) e una fisiologica alternanza dei partiti e delle loro coalizioni nel governo del Paese.

L’Italia è in atto alle soglie di una competizione elettorale nazionale difficile e decisiva per le riforme istituzionali dove sono in gioco i diritti e i doveri di tutti e di ciascuno, sia a livello personale e sociale che interessa tutti i mondi vitali per lo sviluppo e il mantenimento del modello sociale europeo. E’ in gioco non solo l’economia ma anche l’etica democratica del Paese.

Ha ragione Roberto Mancini quando avverte che «l’altra economia mite e democratica considera la giustizia o equità non la conseguenza ma il fondamento condiviso del rigore e della crescita».

La triade del governo Monti (rigore-crescita-equità), come di tutti i governi europei, è moralmente e logicamente falsa.

A dire di Roberto Mancini «non c’è rigore che non venga dall’equità, se invece questa viene alla fine, allora il rigore si risolve nei tagli ai servizi e nei sacrifici per le classi più deboli” (Dal capitalismo alla giustizia, Altra economia ediz., Milano 2012, p. 95-96).

Se le regole finanziarie ed economiche diventano degli assoluti, l’economia e la finanza diventano scopi e leggi e non hanno più un ruolo strumentale e ciò è moralmente inaccettabile. E’ l’economia e la finanza sono al servizio dell’uomo e non viceversa. Per queste ragioni non possiamo continuare «a formare i giovani ai dogmi dell’ortodossia neoliberista» ma dobbiamo aprire la teoria e la prassi alla sapienza dell’economia umanizzata e della politica deliberativa partecipata.

Che faranno ora i cattolici? L’unità politica dei cattolici in un partito non ha ormai un senso né storico-culturale né politico né pastorale. Sin dalla “Octogesima adveniens” di Papa Paolo VI l’unità della fede ha potuto generare legittimamente una pluralità di opzioni politiche. Nessuno oggi la mette in discussione. I cattolici si sono dislocati in tutti i partiti nell’ultimo Parlamento prima dello scioglimento deciso dal Presidente Napolitano. L’unica recente novità politica è la lista Monti che punta alla riaggregazione delle forze di centro, liberale e cattolico. Il Presidente Monti ha avuto un grande merito con il suo governo “calato” dall’alto di una Europa in crisi, quello di salvare l’Italia e l’eurozona in Europa dal macello finanziario e dal precipizio di un default. Ha ridato credibilità alla nostra politica economica e al nostro ruolo politico internazionale restituendo prestigio e solidarietà al governo italiano nel mondo politico e finanziario e garantendo la perplessità dei mercati finanziari.

La “strana” maggioranza (PD, PDL e UDC) ha consentito di fare alcune riforme urgenti ma ha impedito ad esempio la riforma elettorale. E’ rimasto il Porcellum e si è mortificata la democrazia. Il governo dei professori non è stato tecnocratico ma funzionale a pochi obiettivi mirati, finanziari. Sono stati credibili e di qualità. Parecchi i ministri “cattolici”. Un governo serio che non è stato aiutato nella consegna di una più completa Agenda Italia e ad un suo nuovo e democratico successore politico.

Per i cattolici si è aperto in Italia e in Europa un nuovo scenario difficile e un nuovo orizzonte di alta responsabilità politica e pastorale con non pochi problemi ad intra e ad extra in termini di coerenza di credibilità e di prospettiva. Come ha detto Papa Benedetto: «Non si deve dimenticare lo spread sociale!» Il problema della crisi riguarda, come è noto, le disuguaglianze sociali “africane” e non solo i conti del bilancio dello Stato e lo spread finanziario. Con il voto delle prossime elezioni politiche nazionali.

I Cattolici dovrebbero garantire la governabilità del Paese come primo passo per il governo dell’economia e l’integrazione europea. Col secondo passo dovrebbero concorrere a edificare una sana laicità fra Chiesa italiana e Stato come condizione di reciproca autonomia e libertà e di una maggiore sinergica convergenza nel bene comune dell’Italia.

Vale la lezione di Don Milani che aprì con la sua fedele e coerente testimonianza di sacerdote “laico” impegnato nella restituzione della Parola ai poveri un futuro di uguaglianza nella nostra società democratica. Tutto il suo impegno fu speso «per far rinascere la Parola anzitutto in chi non ce l’ha, nei figli dei contadini e degli operai; a farla rinascere come Parola di liberazione degli oppressi… Era l’educazione il momento supremo della liberazione: è la Parola a liberare l’uomo, ma bisogna che sia una parola “liberata”, un segno del senso e non una parola che mistifica». (Giancarlo Zizola, 1988, La rosa e le ortiche,Vicenza, p. 128).

La politica diventa alta se è “altra” e se parla con coerenza religiosa la prassi del bene comune.

Solo allora si può “salire” in politica. Altrimenti si scende giù…