Il metodo Renzi. Far emergere i migliori lasciando loro la possibilità di esprimersi.

Il metodo Renzi

Posted: agosto 29, 2013  I Redazionali di Ateniesi

Le critiche interne al campo dem che piovono su Matteo Renzi sono innumerevoli. A quelle cui ci eravamo abituati durante le ultime primarie (collusione con il nemico, infiltrato di destra, tutto fumo e niente arrosto) se ne sono aggiunte altre più marcatamente legate al suo modo di intendere e fare la politica. Ci si è spostati dal “cosa” al “come”: i contenuti, al momento, vengono messi in secondo piano e si tende a concentrarsi sul “come Renzi stia organizzando i suoi”.

Analizziamo la frase.

1) Partiamo dal complemento oggetto “i suoi”. Più volte in questi mesi sui giornali è apparsa la mappa della galassia cosiddetta “renziana”. Sindaci, amministratori, parlamentari, dirigenti dem, società civile. A seconda della tesi che si voleva sostenere:

a) “Renzi è molto vicino ai sindaci” e giù l’elenco di quei primi cittadini che lo hanno sostenuto e di quelli che saranno disponibili a sostenerlo. E si scuriscono i volti di chi vede nomi – e soprattutto cognomi – che non gradisce e non colloca automaticamente nella casella “rinnovamento”.

b) “Renzi sta crescendo nel partito”. Ecco allora citare i segretari democratici che hanno cambiato idea, le nuove leve, i componenti delle nuove segreterie (compresa quella nazionale) che stanno con il sindaco di Firenze. La tela che si allarga, i riferimenti alle vecchie “correnti” con chi teorizza la loro necessità e chi la loro abolizione, nuove assi e nuove formule, mugugni circa le divisioni (vere o presunte) tra “renziani della prima ora” e “neo renziani”.

c) “Renzi potrebbe fare il suo partito, cresce nei sondaggi e ha dietro i poteri forti”. Bingo! Come rinunciare a non citare Davide Serra, Oscar Farinetti o Alessandro Baricco? Sempre qui vengono inserite le sempre più numerose associazioni Adesso!. Semplice, viene comodo.

Sui renziani – “i suoi” – ormai le polemiche si sprecano. La critica più strenua riguarda il “come ci definiamo”, e in questo caso ce la meritiamo tutta. Come è possibile infatti, dopo avere più volte ascoltato Matteo Renzi sostenere ironicamente che il termine “renziano” assomiglia a una malattia, continuare a utilizzarlo per autodefinirsi? In quante riunioni, comprese quelle che si svolgono dalle nostre parti, si sente dire: “Noi renziani dobbiamo”? E c’è persino chi ci aggiunge sostantivi, predicati, genitivi, per esprimere una posizione specifica del renzismo: ecco allora apparire quelli “della prima ora”, che giocoforza portano dietro “quelli della seconda”, quelli “di sinistra” da non confondere con “quelli di Firenze”, i “renziani liberal” che si distinguono dai “renziani ulivisti”. Altra questione è relativa al “cosa facciamo”. Il pensiero dei renziani seguirebbe la logica del “tizio ha detto x quindi Renzi sostiene x, Caio ha replicato con y, quindi Renzi vuole y”, secondo lo schema classico che ben descrive quella logica del caminetto che fino a oggi ha governato il Pd: il leader manda avanti uno dei suoi, osserva le reazioni e decide come muoversi. Dentro questa logica nulla questio.

2) Prendiamo ora il soggetto e il verbo “Renzi starebbe organizzando (i suoi)”. Renzi, insomma, si sarebbe messo, foglio di excel alla mano, a incrociare le tre categorie (sindaco, dirigente di partito, società civile) con i territori (nord, centro, sud), impostando una bella matrice pronta all’uso a seconda delle evenienze e delle possibilità. Perfetto stile apparatčik”. A questo punto il giochino si fa carino: immaginatevi la tabella e mettete il vostro nome o il nome di chi volete nella cella giusta. E qui in molti a sospirare: “Magari!”. Soprattutto i più organicisti tra noi. I veri Democratici, quelli che fin da novembre lamentano “ma è mai possibile che non ci sia una filiera? Chi sono i colonnelli? Dove sono le truppe? Ma tu quanti iscritti hai? Tu conti poco nel partito, non hai capito che la partità si vince lì!” E così via. Allora prego compilare, così potremmo riportare tutto in una maschera di Access.

Nord

Centro

Sud

Sindaco/Amministratore *
Dirigente partito
Società civile

*Note per la compilazione: indicare cognome e ruolo (esempio: in incrocio Società civile/Centro: “Francesco – Papa”)

La critica al soggetto e al complemento oggetto risulta ancora più interessante. Sofia Ventura, nell’articolo apparso su Europa il 24 agosto scorso e intitolato “Renzi è un leader che deve imparare a fare squadra”, riprende molte di queste critiche. Nel pezzo, acuto e ben scritto come è stile dell’autrice,  passata la critica de “i suoi” (l’episodio del Monopoly e la lettera ad Avvenire sulla legge contro l’omofobia) ecco prendere corpo quello che da molti viene ritenuto il peggior difetto del sindaco di Firenze: non avere una squadra, non aver costruito un gruppo. Questo è il punto.

Provo a tirare il filo da qui per “sgomitolare” l’intero impianto accusatorio su cui si rivolgono le nuove critiche a Renzi. Passato il periodo del “ha messo in parlamento solo quelli del giglio magico”, ora l’errore di Renzi sarebbe quello di non avere uno spin doctor o un gruppo di riferimento che lo aiuti a comporre una proposta politica, ma anche, diciamolo a chiare lettere, a costruire dentro al suo partito una corrente di riferimento. E qui mi domando: è mai possibile che nessuno creda sul serio a Renzi quando parla? Matteo Renzi non ha forse detto che non vuole fare una corrente? Non ha forse detto, parafrasando, “questa è la mia proposta, aiutatemi a costruirla solo se ci credete, perché indietro non si torna, le navi sono bruciate?”

Perché dovrebbe dire tutto questo e poi comportarsi come gli altri, premiando nuovamente fedeltà e appartenenza, relegando il merito e le capacità in un angolino? Il metodo Renzi c’è, eccome se c’è. Ed è quello di far emergere i migliori lasciando loro la possibilità di esprimersi. Senza quel metodo non vedremmo in giro per il Paese sbocciare nuove ledership, nuovi gruppi, nuovi democratici che danno voce alla speranza di un’Italia migliore. Non ci crederete, ma nessuno ci ha mai telefonato per dirci cosa fare, chi far scrivere, come organizzare Adesso! Torino e Ateniesi. Nessuno. E posso assicurarvi che per noi è fichissimo così.

Cari amici, cari entusiasti (perché noi dalla “malattia renziana” siamo guariti mentre l’entusiasmo ci ha contagiato), se pensiamo solo di essere sul carro giusto e che questo basti, sapete che vi consiglio? Scendete al volo. Se invece avete voglia di stare sulla barca e remare dando il meglio di voi stessi, ecco il remo: vogate! E a quelli della prima ora che si lamentano degli accordi che Renzi andrebbe facendo qua e là con personaggi della vecchia politica (e sì, c’è anche questa critica) dico: se loro sostengono il cambiamento, se si accorgono di avere sbagliato, siano i benvenuti. Pensate sul serio che per loro non valga il “metodo Renzi”? Quel metodo vale per tutti. Se sono bravi lo dimostrino sul campo, emergano con le loro forze, diano una mano al Paese nel senso chiaro del rinnovamento e dell’innovazione.

Noi non siamo per la cooptazione, ricordiamocelo sempre. Non è un caso che non ci piaccia il porcellum,  non è un caso che ci piacciano le primarie, non è un caso che ci piacciano le start up, non è un caso che ci piaccia chi rischia. Se non fosse così il nostro luogo non sarebbe questo e il nostro tempo non sarebbe Adesso!