La paura di essere democratici

 

La paura di essere democratici

 

I luoghi comuni“Ma l’America è lontana” cantava Lucio Dalla in una delle sue più belle canzoni: Anna e Marco. Una frase che, al di là del contesto musicale, è stata per decenni al centro del credo politico della sinistra italiana. Quante volte abbiamo ascoltato affermazioni del tipo “i democratici americani non hanno nulla a che fare con la sinistra”, oppure “la tradizione politica italiana ha un maggior radicamento sul territorio rispetto a quella statunitense”? Frasi dettate da una presunta superiorità morale (sarebbe curioso capire in base a quali parametri assoluti veniva misurata) e dalla paura di avere molti punti di contatto, durante la Guerra Fredda, con la politica progressista americana e non con l’ideologia comunista sovietica.

Pre-giudizi storici e culturali – Sono trascorsi oltre vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, ma alcuni dogmi sono ancora in piedi. Uno di questi è, senza dubbio, la diffidenza della sinistra italiana nei confronti di quella statunitense. Eppure è sufficiente sfogliare qualche libro di storia o una biografia di vecchi e nuovi Presidenti degli Stati Uniti d’America, per rendersi conto di tutte le connessioni esistenti. Un legame valoriale che non è stato bloccato neanche dalla cortina di ferro, ma nonostante ciò è respinto da chi non conosce (o forse non vuole conoscere) la formazione ed il vissuto di personalità americane molto influenti.

Roosevelt, Kennedy, Clinton e Obama – A sostegno delle mie tesi non posso non citare il presidente Franklin D. Roosevelt che, negli anni ’30, si circondò di alcuni collaboratori che non nascondevano le loro simpatie per il marxismo. Inoltre, non è un caso che l’allora partito comunista degli Stati Uniti d’America (piccola, ma significativa formazione politica) non contrastò le azioni del leader democratico, anzi appoggiò la politica del New Deal e aderì al Congress of Industrial Organizations, che era un sindacato a maggioranza democratica. In quest’ottica si può citare anche Robert Kennedy e il suo “Il Pil non misura tutto”. Una visione, quella del fratello di John F. Kennedy, lontana da noi solo per questioni geografiche. In questo Pantheon potrei ricordare Martin Luther King e la sua lotta per i diritti civili, la vicinanza dei coniugi Obama ai movimenti afroamericani che hanno sempre considerato il marxismo un loro punto di riferimento, ma anche gli studi di Bill Clinton. L’ex presidente democratico, infatti, si è formato in Inghilterra ed ha studiato i testi di Antonio Gramsci. Secondo alcuni studiosi come Ernest Laclau e Chantal Mouffe, è proprio Bill Clinton, partendo dal concetto di egemonia in Gramsci, che ha rappresentato durante il suo mandato quel punto di contatto “tra la radicalità della politica rivoluzionaria ed il rispetto delle differenze nella società capitalista avanzata”.

Chi ha paura? – Grandi esempi, ma anche nel piccolo della politica statunitense si potrebbero citare i migliaia di attivisti politici che dedicano gran parte del proprio tempo alle loro passioni e al loro interesse civico. Con buona pace di chi continua ad insistere su dicotomie forti tra i democratici americani e quelli italiani, i punti di contatto esistevano prima della caduta del Muro di Berlino e figuriamoci oggi, nell’epoca della globalizzazione. Il presidente Enrico Letta ha detto: “Chi ha paura di mescolarsi, chi ha paura di fare scelte è perché ha paura di avere un’ identità debole”. Una frase che calza a pennello, ma è anche un invito ad abbattere quel muro ideologico e novecentesco che alberga nella visione della realtà di molti.

C’è forse qualcuno che ha paura di essere democratico?

(immagine: www.washingtonpost.com)

 

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