Svimez, la crisi italiana è la crisi del Sud

Europa Quotidiano  

Svimez, la crisi italiana è la crisi del Sud

Tutto l’impegno governativo per il Mezzogiorno sembrerebbe racchiuso nell’unica promessa del raccordo dei fondi strutturali

Le statistiche hanno un pregio, se i numeri vengono guardati veramente e non solo esibiti per qualche ornamento retorico: la sintesi.

Una drammatica sequenza di numeri sintetici, allora, nelle ultime settimane ci ha raccontato dello smottamento del Sud verso un buco nero senza uscita. Prima l’Istat con i dati sulla povertà, più di 3 milioni di meridionali in una condizione di povertà assoluta e il 23,5% di famiglie in povertà relativa (il doppio rispetto a cinque anni fa). Adesso la scansione drammatica dei dati Svimez: un Sud che registra la desertificazione delle sue risorse produttive (investimenti industriali -53%), la disoccupazione di massa (meno di sei milioni gli occupati, come nel 1977, mentre l’80% dei licenziamenti italiani è tutta concentrata nel Mezzogiorno), il crollo del Pil a -3,5% (il resto d’Italia -1,4). Insomma: qualche leghista potrebbe dire che se non ci fosse il Sud l’Italia sarebbe “statisticamente” in ripresa, appena sotto alla media del resto d’Europa.

Un dramma nel dramma: a parte qualche titolo nelle sopravvissute testate meridionali, il rapporto Svimez passa in cavalleria su tutti i media nazionali, relegato al più nelle pagine interne. Il che, nel tempo in cui la comunicazione ha preso il posto dell’informazione, significa rimuovere nell’immaginario collettivo il problema. O, al più, fornirne una versione alterata, quando l’informazione potrebbe rivelarsi positiva per i meridionali: è solo di qualche giorno fa la notizia dei superdiplomati nelle scuole italiane che metteva la Puglia al primo posto per i voti presi alla maturità. Su alcune testate, però, insinuava il sospetto che al Sud i docenti sono di manica larga, mentre al Nord molto rigorosi.

Il punto, allora, è che tutto l’impegno governativo per il Mezzogiorno sembrerebbe racchiuso nell’unica promessa del raccordo dei fondi strutturali. Cosa commendevole, non c’è dubbio. Ma largamente insufficiente. Sappiamo bene che c’è inefficienza, talvolta vero e proprio spreco, nel mancato utilizzo delle risorse europee per le regioni del sud. Ma sappiamo anche che non basta mettere in elenco la risorsa dei fondi europei per risolvere la questione perché i dati crudelmente concreti che abbiamo sotto i nostri occhi non possono essere esorcizzati con le buone intenzioni né con le sole bacchettate sulle mani delle Regioni inadempienti. Anche perché, sarà forse il caso di ricordare, persino le buone pratiche sui fondi europei se non si attivano anche risorse nazionali, non arrivano molto lontano. In realtà se non si spezza il registro unico delle lacrime e sangue che fa da sfondo da cinque anni almeno alle politiche economiche italiane, sarà assai complicato mettere in campo risorse autogenerate.

Allora occorre, con la velocità un po’ futurista che sembra aver conquistato altri ambiti della politica, dire chiaro al paese che la crisi italiana è la crisi del Mezzogiorno e comportarsi di conseguenza con interventi massivi e prioritari. Non significherà forse molto, tuttavia non è statisticamente irrilevante il fatto che dall’avvio del ventennio berlusconiano sia scomparsa o sia diventata molto marginale la presenza di meridionali al governo. Oggi va di moda l’appennino toscano. In altri momenti quello emiliano o la “Padania” lombarda. Del Sud non v’è traccia. E, francamente, si sentono gli effetti.

Alla ripresa dell’attività parlamentare, in queste ore infuocate risucchiata dalle grandi riforme istituzionali, sarà necessario dedicare una seduta del parlamento alla questione del Mezzogiorno, vera questione nazionale.