Il Pd smetta di parlare di sé I giovani chiedono altro…

Il Pd smetta di parlare di sé
I giovani chiedono altro…

 

 

bandiere Pd

 

Unità


In questi giorni di gossip pre-congressuale, in cui si sprecano tattiche di plastica e carri gonfiati da nuovi e vecchi opportunismi, la nostra urgenza rimane sempre la stessa: rispondere a tutti i nostri coetanei che – in un misto di rabbia e rassegnazione – ci chiedono ogni giorno le stesse cose: «Che ne sarà di noi?», «Che senso ha la politica?», «Che senso hanno destra e sinistra?», «Che senso ha restare in Italia?».

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Hanno ragione. Di fronte alla più grave crisi del secolo, in un Paese in cui la diseguaglianze crescono ogni anno (siamo ai livelli di primo 900 e non succede nulla!), in cui il 10% delle persone detiene il 50% della ricchezza, in cui c’è chi prende 90.000 euro di pensione al mese (sono privilegi, non diritti acquisiti!) e chi non ha neanche le parole per dire che non puoi ammalarsi perché nessuno gli paga la malattia, in un Paese in cui ci sono amministratori delegati che guadagnano 475 volte lo stipendio dei loro dipendenti e quasi 9 milioni di persone lo scorso anno, almeno una volta, hanno avuto problemi a reperire un pasto caldo, scaldare la casa o pagare le bollette.

Ecco, in un Paese così la sinistra per chi è? Non poniamo la domanda «che cos’è la sinistra», ma «per chi è». Ed è dentro la materialità della crisi che la sinistra trova il suo «senso». Siamo cresciuti urlando nel sottobosco, nel frattempo il dibattito pubblico più insulso del secolo svuotava la parola «sinistra» che diventava una bandierina senza fuoco, calore, popolo. Oggi esiste una battaglia generazionale ed è quella che noi dobbiamo combattere. In questa battaglia sta il «senso nuovo» della sinistra ed è soprattutto compito nostro riuscire a costruirlo. Con i Giovani democratici di Padova ci stiamo provando da tempo: a rivedere alcuni paradigmi e a studiarne di nuovi. Individuando le nuove radicalità democratiche.

Perché crediamo sia di sinistra interpretare precari e partite Iva, ultimi e penultimi, crediamo sia di sinistra pretendere con forza alcuni diritti civili, crediamo sia di sinistra guardare all’Europa non come un dogma burocratico ma come un universo di opportunità, il sogno di 450 milioni di europei che negli Stati Uniti d’Europa, affacciati sul Mediterraneo, costruiscono la loro nuova dimensione nella globalizzazione. E ancora, crediamo sia di sinistra intrecciare le tradizioni del nostro artigianato con le nuove tecnologie, progettare e incentivare lavori cooperativi e sostenibili, costruire città a misura d’uomo, aperte, in cui, con un po’ di creatività e tanta voglia di mettersi in gioco, si possa vivere bene ed essere felici anche con meno risorse. Ci avevano fatto credere che il mercato avrebbe regolato e messo ordine a ognuna delle nostre vite. Ci avevano fatto credere che la civiltà dei consumi sarebbe stata motore eterno di ricchezza e che prima o poi sarebbe arrivato anche il nostro turno. Bastava mettersi in fila e tacere, possibilmente senza appassionarsi, massimizzando il proprio utile individuale. E intanto, mentre ce lo raccontavano, usavano la nostra generazione come una discarica, indebitandola, deprimendola, umiliandola.

Eppure. Eppure c’è una comunità che ha voglia di prendersi cura di questo Paese, mettendo in campo con forza energie vere, moderne, qualificate. Ha gli anticorpi della rabbia e la creatività biologica degli anni migliori. Uniamo queste energie. Uniamo l’energia di chi ha perso la speranza e chiede solo di alzare la testa e vivere, lavorare, creare. E a questa energia inespressa uniamo l’energia di tanti giovani che ce la stanno già facendo, nonostante tutto. Che intraprendono, vivono nel mondo globale, generano nuova economia, sperimentano forme di welfare civile, interpretano la rivoluzione digitale, immaginano esperienze, credono nei beni relazionali come ricchezza di questo tempo.

Riparte da qui la speranza. E da alcune parole antiche che sentiamo rinascere: comunità, solidarietà, capacità, giustizia sociale. Sinistra. Costruiamo così il nostro tempo, scriviamo così – adesso – la nostra storia. E facciamolo nella concretezza appassionata del congresso, diamo forza ai contenuti e alle idee, non lasciamoci sedurre dalla fugacità di una discussione sulla leadership. Di occasioni ne abbiamo sprecate a sufficienza, l’Italia negli Stati Uniti d’Europa ha bisogno di una comunità vera. Questo è il vero cambiamento, il cambiamento che serve a scrivere il racconto nuovo oltre la crisi, il cambiamento che incide davvero nella vita di uomini e donne.