Il Pd non è nato per essere solo la sinistra

Il Pd non è nato per essere solo la sinistra

Aderire o no ai socialisti europei? L’opinione di un gruppo di parlamentari del Pd

L’articolo è firmato dal gruppo di parlamentari Pd in calce.

Il Pd ha poco più di sei anni ma ha già avuto tre segretari. Stiamo per eleggere il quarto e in questo tempo abbiamo macinato (spesso nel senso letterale del termine) oltre alle leadership, gruppi dirigenti, contenuti, linee politiche, strategie e alleanze. Tutto si è consumato molto rapidamente. Forse troppo. E troppo in fretta ci si è precipitati all’affannosa ricerca di una normalità. Più che la costruzione di un partito “solido”, da contrapporre all’astrattezza di una presunta liquidità, si è pigramente approdati al “solito” partito. Ad un partito normale, appunto, tale da archiviare in fretta la straordinarietà e l’originalità che ne dovevano rappresentare il tratto distintivo. Eppure in quella straordinarietà stava il valore e la potenzialità, anche elettorale (ma non solo) dell’operazione politica che si era voluta intraprendere.

Tra le ambizioni originarie del progetto democratico e ciò che abbiamo saputo realizzare c’è uno scarto sul quale si misura il rischio di un fallimento che interpella tutti e che può ripercuotersi ben oltre il perimetro del Pd. Sottrarsi alla dittatura del contingente può essere difficile, soprattutto in una fase congressuale.

Tuttavia è uno sforzo necessario se vogliamo tentare di riallacciare quel filo che oggi sembra spezzato tra l’idea del Pd come compimento del processo fondativo della democrazia italiana (definizione di Pietro Scoppola) e le speranze di tanti elettori del campo riformista.

Quel campo si è progressivamente ristretto e il Pd ha perso capacità attrattiva. Lo stesso vocabolario della nostra discussione interna è cambiato, senza che ce ne rendessimo conto. Basti pensare all’uso del termine riformista, che all’inizio aggettivava quasi indissolubilmente il Pd, gradualmente evaporato dal nostro linguaggio comune. Spesso sostituito dalla parola progressista. Un piccolo esempio, ma significativo (le parole sono importanti, si diceva una volta). Una sorta di inconsapevole, lenta, inarrestabile mutazione genetica ci ha riportato in alto mare, allontanandoci dal nostro approdo: la elaborazione e la sperimentazione nel vivo della società italiana di una nuova cultura politica che valorizzasse il meglio delle grandi tradizioni democratiche, in una sintesi capace di parlare al futuro e alle nuove generazioni. Altro che amalgama.

Nella difficoltà di una crisi lunga e drammatica, di fronte ad una complessità in cui si sono annidati i germi di vecchi e nuovi populismi come presunti antidoti alle insidie della globalizzazione, ci si è illusi di trovare le risposte in una astratta semplificazione della realtà. Abbiamo un problema di identità? Lo risolviamo con una perentoria autocertificazione: noi siamo la sinistra. Questa è la nostra metà del campo. Poi quel campo è diventato un terzo. Poi un quarto. Possiamo continuare a ritirarci affermando la nostra identità.

Se noi siamo solo la sinistra, allora è del tutto naturale che la nostra collocazione europea sia nel Pse. Ma il Pd non era nato per essere solo la sinistra. Qui sta il tema irrisolto di un partito che è plurale non in quanto spazio in cui convivono le diversità, come tante piccole oasi. Piuttosto come luogo in cui si attiva una sintesi da cui nasce una novità nella quale quelle diversità lascino una traccia riconoscibile. E qui sta anche, in larga misura ancora irrisolta, la questione del rapporto tra il Pd e il mondo cattolico.

«Il dibattito sul partito democratico non è esaltante, ma soprattutto è squilibrato a sinistra: forse non è esaltante proprio perché squilibrato. Sembra, in una parola, che la nascita del nuovo soggetto sia un problema interno alla sinistra italiana, destinato a misurarsi e a logorarsi nella interminabile scia di polemiche, di fratture, di rancori che caratterizzano la sua storia. Ma chi ha un poco di memoria ricorda bene che l’idea del partito democratico, sul ceppo dell’intuizione dell’Ulivo, non è nata affatto così e che insomma l’Ulivo e il partito democratico non sono un problema interno alla sinistra italiana». La lunga citazione è di Pietro Scoppola e risale al 31 gennaio del 2007. È l’incipit di una lucida riflessione pubblicata su Repubblica con il titolo “Partito democratico tra laici e cattolici”. In quell’articolo Scoppola spiegava perché sarebbe stato un grave errore la confluenza del Pd nel Pse poiché quella scelta avrebbe finito per offuscare «in radice la novità di quanto con il partito democratico si vuol fare». E non certo per tutelare una piccola «riserva cattolica», quanto per esaltare la potenzialità espansiva di una nuova forza politica che non avrebbe dovuto lasciare alla destra la rappresentanza di una larga parte del cattolicesimo italiano. A scanso di equivoci: questo tema non riguardava e non riguarda la sopravvivenza di pezzi di ceto politico, ma riguarda la natura stessa del Pd nel suo complesso, perché, come sottolineava lo stesso Scoppola nella conclusione del suo scritto «non c’è possibile partito democratico in Italia senza un profondo coinvolgimento di popolo di sinistra, ma non c’è partito democratico senza un altrettanto profondo coinvolgimento di popolo cattolico».

In questo lento scivolamento all’indietro rischiamo di trovarci di nuovo al punto di partenza. Aderire o no al Pse? Un dibattito non esaltante e squilibrato. E autoreferenziale. Mentre tutto, attorno a noi, sta cambiando. Il tramonto del ventennio berlusconiano, la tormentata diaspora dei moderati alla ricerca di nuovi punti di riferimento. E la rivoluzione di papa Francesco, che apre una nuova stagione nella Chiesa che inevitabilmente interroga anche la politica.

E noi? Noi saremo all’altezza del nostro sogno? O sapremo esserlo o non saremo il Pd.

 

Francesco Saverio Garofani, Antonello Giacomelli, Gianclaudio Bressa, Giovanni Burtone, Edo Patriarca, Teresa Piccione, Salvatore Margiotta, Tino Iannuzzi, Alberto Losacco, Vito Vattuone, Flavia Nardelli, Ezio Casati, Pierdomenico Martino, Andrea Rigoni, Nicodemo Oliviero, Giampiero Scanu, Giovanni Sanga.