Papa Francesco e le sue nuove scelte

La politica di papa Francesco

Le critiche di Bergoglio al sistema economico sono profondamente “politiche”. Ma la Chiesa che Francesco ha in mente lascia ai laici la ricerca delle soluzioni concrete

La politica di papa Francesco

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium è il primo testo magisteriale vero di papa Francesco. Vale la pena di leggerlo e rileggerlo per capire in che direzione camminerà la Chiesa nei prossimi anni. Non c’è solo una novità di metodo o di stile pastorale, in questo pontificato c’è una novità di strategia ecclesiale. Un magistero che propone il Vangelo sine glossa, veramente nudo, privo di mediazioni culturali e ancor meno politiche. Non più l’“inculturazione della fede”, ma la fede semplice e verace.

In questo testo il papa pronuncia parole nette, parole nuove che in effetti sono parole antiche ormai dimenticate e che oggi sembrano creare un clima, un’aura suggestiva e intrigante per i credenti, i non credenti, e i portatori di fede “dormiente”.

È cambiata la musica
Nella motivazione con cui la rivista Time ha designato papa Francesco uomo dell’anno 1913 è scritto: «In meno di un anno ha fatto qualcosa di veramente significativo: non ha cambiato (solo) le parole, ha cambiato la musica». La domanda che ci si pone allora è: questo papa ha dietro di sé la Chiesa o la Chiesa sta assumendo nei suoi confronti il vecchio adagio curiale «i papi passano»? E, ancora, il papa si sta rivelando per quello che non si pensava o è stato scelto in Conclave proprio perché lo si conosceva bene?

È infatti difficile che Bergoglio, già candidato nel precedente Conclave, cardinale latinoamericano conosciuto da decenni per la sua concezione di Chiesa, perdipiù dopo diverse congregazioni preparatorie in cui è stato possibile sentire le sue idee di riforma, sia stato eletto senza una forte intenzionalità. Dunque è ragionevole pensare che la sua elezione corrisponda a una precisa volontà di cambiamento della Chiesa universale, pur essendo vero che il “corpo” della Chiesa, soprattutto italiana, è ancora abbastanza stordito e in attesa, non si sa bene di che.

Del resto più passano i mesi più si coglie la coerenza di un disegno di cambiamento che comprende il magistero delle parole, quello dei gesti e quello delle scelte strutturali e degli uomini che debbono incarnarle. Il disegno c’è e si vede. Per quanto riguarda i riflessi sulla vita politica, soprattutto in un paese come il nostro in cui per decenni le connessioni fra la fede e la politica e fra la Chiesa e lo Stato sono state molto importanti, vale la pena concentrarsi su alcuni punti molto chiari.

Innanzitutto va rilevato che la Chiesa di papa Francesco, consapevole della progressiva condizione di minorità in cui è venuta a trovarsi nella gran parte delle società occidentali (oggi il numero dei cristiani che frequentano la messa domenicale in Cina è superiore a quello dei frequentanti in Germania, Francia, Gran Bretagna, Olanda e Belgio tutti insieme), finalmente si interroga sulle ragioni di questo processo, in gran parte determinato da una secolarizzazione colpevolmente sottovalutata nelle sue connessioni con il modello di sviluppo, e cerca una strada nuova.

La “chiamata” di un papa «dalla fine del mondo» – cioè di un papa che considera che la via della “inculturazione della fede”, anziché indurre la cristianizzazione dei modelli di sviluppo, ha determinato negli ultimi decenni lo scolorimento del messaggio cristiano – non è stata casuale né rappresenta una parentesi nella vita della Chiesa.

La forza scandalosa delle parole
Non è un caso, dunque, che papa Francesco si sia data la missione di favorire la “conversione” della Chiesa. Una decontaminazione culturale rispetto ai valori mondani. La rottura di un modello di confusione e coinvolgimento con il potere politico. Tutto ciò attraverso una nuova linea di teologia del popolo e, per quanto paradossale possa apparire, di teologia della laicità: questa Chiesa infatti osserva, giudica e sceglie da che parte stare. Non le compete dire cosa fare. Le compete annunciare il Vangelo senza mediazioni e proporlo come termine di paragone, ai governi e a tutti gli uomini, sollecitati a riscoprire il valore della gioia vera.

«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento», comincia così l’Evangelii gaudium. In questa luce appare chiaro il filo che lega le sfide che il papa vede in questo tempo: l’economia dell’esclusione, la nuova idolatria del denaro, la crescente disuguaglianza, l’indifferenza assoluta rispetto ad esse, i limiti della Chiesa stessa a partire da una certa mondanità spirituale e dal pessimismo culturale. La conversione comporta la riscoperta del valore primigenio di quella Parola che le è stata affidata: si tratta del patrimonio più prezioso e non può essere nascosto, edulcorato, tradito.

A leggere questo documento si resta sconvolti per la durezza di un linguaggio cui non siamo più abituati. Una forza “scandalosa” delle parole nude, al punto che gli stessi pastori nelle diocesi e nelle parrocchie (così come gran parte di loro fece dei discorsi sulla pace di Giovanni Paolo II al tempo della guerra in Iraq) si limitano spesso a riassumerne i contenuti, tanto è costosa e difficile la lettura testuale. Proviamo a soffermarci soltanto su alcuni passi.

«Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire: no a un’economia dell’esclusione e dell’iniquità. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. (…) Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati, ma rifiuti, “avanzi”».

E, ancora, al punto successivo: «Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza… La cultura del benessere ci anestetizza».

A ciascuno le sue responsabilità
«Magari la sinistra europea riuscisse a dire la metà di ciò che è scritto nell’Evangelii Gaudium – ha osservato recentemente Claudio Sardo in una bella relazione a un seminario dei Cristiano Sociali – sarebbe la prova che è stato recuperato un pensiero critico, che non si è più appiattiti sul presente e sulle compatibilità date».

E, peraltro, anche solo queste poche righe del documento che abbiamo letto colpiscono per la loro disarmante semplicità, che dice che la “Chiesa di popolo” vuole farsi capire dal popolo, in ogni parte del pianeta, e non ha la pretesa di fondare o indicare una via politica per la soluzione di questi drammi, lasciandone per intero la responsabilità a quanti ne hanno responsabilità. La Chiesa osserva, valuta, denuncia, esorta, prende parte, ricorda a tutti che nei momenti di confusione e smarrimento c’è il Vangelo non per dare una soluzione concreta ma per indicare i principi che possono rimettere in carreggiata.

A ben guardare la conversione cui ci richiama Francesco è quella della centralità dell’uomo: se il bene dell’uomo è la ragione per cui, se l’uomo è il metro che misura e valida il nostro agire, se insomma l’uomo è la variabile indipendente, allora è tutto il resto che deve cambiare e riordinarsi a questo fine. Ecco cos’è l’antropocentrismo. Francesco non dice che l’economia di mercato è sbagliata, che la globalizzazione finanziaria è sbagliata, ma dice che entrambe debbono essere sottoposte alla seguente verifica: sono aumentate o diminuite la giustizia, l’uguaglianza, la pace?

Partiti senza “timbro”
Lasciatemi osservare che senza questi interrogativi coraggiosi e controcorrente sulla crescente ingiustizia – assoluta e relativa – probabilmente il presidente Obama non avrebbe fatto lo stesso discorso sullo stato dell’Unione che ha fatto pochi giorni fa. Queste domande infatti Francesco le ha proposte a tutti, credenti e non credenti, ricchi e poveri, uomini del nord e del sud, governanti e governati. Una rivoluzione copernicana in primo luogo per i cristiani impegnati in politica.

La Chiesa non chiede loro protezioni e agevolazioni, partiti unici o confessionali, difesa di valori non negoziabili (fermi restando i principî fondanti per i cristiani), mediazioni politiche o transazioni di potere. Chiede loro di voler bene all’uomo, a tutti gli uomini, e di testimoniare in tal modo l’essenza della loro fede. Ma se in un paese come il nostro, con la storia che ha il nostro e con le divisioni ideologiche che sino a pochi anni fa lo hanno attraversato, la Chiesa non ha più timbri da mettere su alcuna casacca, ma esprime qualcosa di ben più esigente come un antropocentrismo che rimette in asse ciò che il tempo e l’assuefazione allo spirito del tempo hanno spostato, allora le cose cambiano, per i credenti e non solo.

È evidente che la cultura della mediazione in senso classico non viene superata, essendo essa la virtù della politica, il mezzo attraverso cui la politica realizza i propri obiettivi. Liberata dall’onere di interconnettere i “poteri” (quello statuale e quello ecclesiale), la mediazione torna ad essere funzione politica nobile e si arricchisce in termini di laicità e responsabilità. In un simile contesto i cristiani conservano una loro specificità e una loro utilità quando si impegnano in politica?

Certamente. Nella misura in cui essi sapranno essere testimoni coerenti e fedeli di quella centralità dell’uomo che il Vangelo ispira ed esige, potranno rappresentare un’ulteriorità, una ricchezza per la vita politica, in cui non si dovranno mai sentire semplici ospiti, in una qualche misura estranei, sopportati solo per rispetto di una memorialistica più o meno gloriosa, ma motori di cambiamento e conversione indispensabili, promotori di quel pensiero critico senza del quale la politica degrada verso l’insignificanza.

@PLCastagnetti

 

 

Evangelii gaudium, il Vangelo secondo Francesco

Nell’”Evangelii gaudium” il papa lancia un appello a tutti i battezzati perché portino agli altri l’amore di Gesù in uno «stato permanente di missione»

Evangelii gaudium, il Vangelo secondo Francesco

«La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù»: inizia così l’Evangelii gaudium, con cui papa Francesco affronta il tema dell’annuncio del Vangelo nel mondo di oggi. È un appello a tutti i battezzati, senza distinzioni di ruolo, perché portino agli altri l’amore di Gesù in uno «stato permanente di missione» (25), vincendo «il grande rischio del mondo attuale»: quello di cadere in «una tristezza individualista» (2).

Il papa invita a «recuperare la freschezza originale del Vangelo» Gesù non va imprigionato entro «schemi noiosi» (11). Occorre «una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno» (25) e una riforma delle strutture ecclesiali perché «diventino tutte più missionarie» (27). Su questo piano Francesco si mette in gioco in prima persona. Pensa, infatti, anche a «una conversione del papato» perché sia «più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione».

Il ruolo delle Conferenze episcopali è da valorizzare realizzando concretamente quel «senso di collegialità» che finora non si è ancora pienamente concretizzato (32). Più che mai necessaria è «una salutare decentralizzazione» (16) e in questa opera di rinnovamento non bisogna aver timore di rivedere consuetudini della Chiesa «non direttamente legate al nucleo del Vangelo» (43).

Il verbo messo al centro della riflessione è «uscire». Le chiese abbiano ovunque «le porte aperte» perché tutti coloro che sono in ricerca non incontrino «la freddezza di una porta chiusa». Nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero mai chiudere. L’eucaristia stessa  «non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli».  Il che determina «anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia». (47). Molto meglio una Chiesa ferita e sporca, uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa prigioniera di se stessa. Non si abbia paura di lasciarsi inquietare dal fatto che tanti fratelli vivono senza l’amicizia di Gesù (49).

Su questa via la minaccia più grande è quel «grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando» (83). Non ci si lasci prendere da un «pessimismo sterile» (84). Il cristiano sia sempre segno di speranza (86) attraverso la «rivoluzione della tenerezza» (88).

Francesco non nasconde il dissenso verso quanti «si sentono superiori agli altri» perché «irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato» e «invece di evangelizzare  classificano gli altri». Netto è anche il giudizio negativo verso coloro che hanno una «cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo» nei bisogni della gente. (95). Questa «è una tremenda corruzione con apparenza di bene… Dio ci liberi da una Chiesa mondana sotto drappeggi spirituali o pastorali!» (97).

La predicazione ha un ruolo fondamentale. Le omelie siano brevi e non abbiano il tono della lezione (138). Chi predica parli ai cuori, evitando il moralismo e l’indottrinamento (142). Il predicatore che non si prepara «è disonesto ed irresponsabile» (145). La predicazione offra «sempre speranza» e non lasci «prigionieri della negatività» (159).

Le comunità ecclesiali si guardino da invidie e gelosie. «Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?» (100). Di fondamentale importanza è far crescere la responsabilità dei laici, finora tenuti «al margine delle decisioni» a causa di «un eccessivo clericalismo» (102). Importante è anche «allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa», in particolare «nei diversi luoghi dove vengono prese le decisioni importanti» (103). Di fronte alla scarsità di vocazioni, «non si possono riempire i seminari sulla base di qualunque tipo di motivazione» (107).

Oltre a essere povera e per i poveri, la Chiesa voluta da Francesco è coraggiosa nel denunciare l’attuale sistema economico, «ingiusto alla radice» (59). Come disse Giovanni Paolo II, la Chiesa «non può né deve rimanere al margine della lotta per la giustizia» (183).

L’ecumenismo è «una via imprescindibile dell’evangelizzazione». Dagli altri c’è sempre da imparare. Per esempio «nel dialogo con i fratelli ortodossi, noi cattolici abbiamo la possibilità di imparare qualcosa di più sul significato della collegialità episcopale e sulla loro esperienza della sinodalità» (246). Il dialogo interreligioso è a sua volta «una condizione necessaria per la pace nel mondo» e non oscura l’evangelizzazione (250-251).

Nel rapporto col mondo il cristiano dia sempre ragione della propria speranza, ma non come un nemico che punta il dito e condanna (271). «Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri» (272). «Se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita» (274).

 

 

 

 

La Crociata del papa per cambiare la Cei e la chiesa italiana

Francesco non proroga l’incarico del segretario generale dei vescovi, Mariano Crociata, che va a guidare la diocesi di Latina. Inizia così il rinnovamento dei vertici della chiesa tricolore e della sua organizzazione

La Crociata del papa per cambiare la Cei e la chiesa italiana

Con un’altra delle sue “mosse del cavallo”, il papa che predica la semplicità ma che sa muoversi con impressionante tempistica strategica, e giocando d’anticipo, questa volta ha spiazzato i vertici della chiesa italiana, rimuovendo dal suo incarico il segretario generale della Conferenza episcopale, Mariano Crociata. Era in scadenza, il numero due dell’assemblea dei vescovi italiani, ma era stato prorogato dal papa il 3 ottobre scorso. E non “confermato”, come aveva scritto l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, beccandosi la reprimenda del pontefice stesso, per l’imprecisione non proprio di poco conto diffusa dal giornale.

Il vescovo Crociata andrà a guidare la diocesi di Latina, Sezze, Priverno e Terracina. Il papa gli aveva proposto la carica di ordinario militare, ma Crociata non aveva accettato. Ed ecco la sua rimozione senza promozione, come era invece avvenuto con i suoi predecessori segretari. Nel frattempo, lunedì ha assunto le sue funzioni il nuovo segretario di stato Pietro Parolin, che sostituisce Tarcisio Bertone.

La decisione di papa Francesco ha un valore che va oltre Crociata. Riguarda l’organizzazione stessa e il futuro stesso della Cei, l’unica conferenza episcopale che non elegge il suo presidente e i suoi vertici – di nomina papale – e che ha come segretario generale di regola un vescovo. Il papa intende uniformare la Cei alle altre conferenze, e vuole farlo in fretta. Intanto, via Crociata che sarà sostutuito con un sacerdote. Ed è certo che quando cambierà lo statuto, sarà opportuno che anche il presidente Angelo Bagnasco, confermato per altri cinque anni, lasci gli uffici di via Aurelia.

Massimo Franco aveva anticipato già lo scorso fine settembre, sul Corriere, il terremoto in arrivo nella Cei, collegandolo con le altre criticità italiane e curiali su cui intendeva intervenire con fermezza il papa. Si apriva «la “fase due” della rivoluzione di Francesco, che finora si è concentrata sulla chiesa». L’editorialista aveva scritto che «il vertice della Cei avrebbe rimesso il proprio mandato nelle mani di papa Francesco», parole che avevano fatto infuriare il presidente della Cei, che non aveva e non ha intenzione alcuna di andarsene.

Questa “fase due” riguarda anche, più in generale, l’atteggiamento che i vescovi e la chiesa italiana devono tenere nei confronti della politica e dei poteri nel nostro paese. Nella visione “francescana” non ci può essere più posto per manovre come quelle orchestrate nei giorni scorsi da monsignor Rino Fisichella, in combutta con i vescovi di riferimento di Comunione e liberazione (ma non con il cardinale Camillo Ruini, come è stato erroneamente riferito), per favorire il distacco degli alfaniani da Berlusconi e l’ennesimo tentativo di costruzione di un nuovo centro.

Peraltro non si capisce quale possa essere il potere attuale di Rino Fisichella, diventato quasi l’emblema di quella stagione di commistione tra potere religioso e politica, da archiviare, dopo la scena, lo scorso giugno, della sedia lasciata vuota nel concerto nell’aula Paolo VI, organizzato dal Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, guidato appunto da Fisichella. Era il primo evento di una certa solennità e sfarzo (tra le manifestazioni per l’Anno della fede) al quale il papa avrebbe dovuto partecipare, presenti i papaveri della politica italiana. A conferma che quello non fu un gesto né impulsivo né casuale, le autorità vaticane hanno annullato il grande concerto per la conclusione dell’Anno della Fede, che era in programma sabato scorso.

Ma chi sono oggi le figure italiane in ascesa nella nuova era francescana? Bruno Forte, teologo, vescovo di Chieti, al quale il papa ha dato l’incarico di relatore nel sinodo sulla famiglia del 2014, di fondamentale importanza nella costruzione nel nuovo percorso. L’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, al fianco di Francesco a Lampedusa, il cardinale Giuseppe Bertello, governatore vaticano e unico curiale tra gli otto consiglieri del papa, il cosiddetto G8. Ma sarà Parolin a condurlo nella “scoperta” della chiesa italiana e delle figure che dovranno guidarne la ripresa.

@GuidoMoltedo

 

 

L’“enciclica” trasversale di papa Francesco

L’esortazione Evangelii Gaudium è insieme più a sinistra di Obama nella critica del liberismo e critica nei confronti del “falso progressismo” su aborto e ordinazione femminile

L’“enciclica” trasversale di papa Francesco

Dopo le molte dichiarazioni e i gesti compiuti da papa Francesco fin dai primi minuti del suo pontificato, la esortazione apostolica Evangelii Gaudium, datata 24 novembre e pubblicata ieri, è il primo vero documento programmatico. Il titolo rappresenta bene le due fonti a cui si rifà il programma di nuova evangelizzazione (termine peraltro usato assai di rado nel documento).

Si tratta della costituzione pastorale del Vaticano II Gaudium et Spes (1965) e la Evangelii Nuntiandi di Paolo VI (1975). È la riabilitazione pubblica di un magistero conciliare e post-conciliare particolarmente negletto durante il pontificato di Benedetto XVI e nella teologia che ha fatto carriera ecclesiastica negli ultimi anni. Le citazioni del predecessore ci sono, come di Giovanni Paolo II, ma l’impianto intellettuale è molto più conciliare e post-conciliare che animato dallo scetticismo verso la «opzione preferenziale verso i poveri» – scetticismo (quando non cinismo) che ha regnato fino a pochi mesi fa nel magistero ufficiale.

Ma Evangelii Gaudium di papa Francesco offre una visione trasversale rispetto alle trincee saldatesi nel corso degli ultimi decenni. Da una parte apre a una visione sociale della Chiesa, povera per i poveri, bisognosa di riforma (incluso il papato), più collegiale (con una attenzione particolare alle conferenze episcopali), più aperta alle varie forme di ministero, meno clericale. Sulla questione della giustizia sociale Francesco si colloca nettamente a sinistra di Obama e di tutta la sinistra parlamentare mondiale, con una richiesta radicale di regolamentazione del mercato per sanare le crescenti diseguaglianze e un’accusa alle ideologie del liberismo trickle down.

Dall’altra parte Francesco non cambia la posizione della Chiesa sull’aborto, che non è vero progressismo, e sull’ordinazione delle donne, «che non è in discussione». Papa Francesco usa un linguaggio più inclusivo che nel passato, ma sostanzialmente vede nelle richieste per l’ordinazione delle donne il rischio di un maggiore e non minore clericalismo nella Chiesa: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere».

Ma questo argomento non placherà le teologhe femministe, che potrebbero vedere in Francesco una sostanziale continuità con «la teologia del corpo» e «il genio femminile» di Giovanni Paolo II, e in una retorica della differenza per troppo tempo usata per mantenere il sistema patriarcale nella Chiesa.

Evangelii Gaudium rappresenta un cambio di orizzonte soprattutto per la filosofia ispiratrice il pontificato. In un passaggio breve quanto tranciante, Francesco afferma che la realtà è più forte delle idee. È un addio al neo-platonismo tipico del pontificato precedente, sia quanto a visioni di Chiesa sia quanto a concezioni politico-sociali. In particolare, Francesco nota tra «i segni dei tempi» la crisi dell’impegno in favore delle cause comuni, quelle che trascendono l’interesse personale. Questo fa di Francesco un papa non assimilabile né alla cultura liberale né a quella progressista nelle sue forme individualiste e libertarie.

È un’occasione per mettere fine alle “guerre culturali” che hanno devastato la Chiesa negli ultimi anni – una situazione a cui Evangelii Gaudium fa riferimento in modo diretto. Resta da vedere quanto questo documento potrà fare per costruire un ponte tra le due diverse anime del cattolicesimo, quella tradizionalista-neoconservatrice e quella sociale-liberale.

La recezione di Francesco sarà particolarmente delicata nella Chiesa più ideologizzata e polarizzata, quella statunitense. In una discussione pubblica a Baltimora giusto tre giorni fa, di fronte alla vasta platea della convention della American Academy of Religion, il cattolico neoconservatore americano per eccellenza, George Weigel, aveva offerto una visione meramente “continuista” di Francesco con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI. Resta da vedere se la Evangelii Gaudium basterà a convincere Weigel e tutti i neoconservatori e neoliberali che Francesco è qualcosa di nuovo e di diverso dai 35 anni di Wojtyla-Ratzinger.

@MassimoFaggioli

 

STAMPA

Ecco il testo del “manifesto programmatico” di Francesco

L’integrale della Evangelii Gaudium, l’esortazione apostolica (dal sito del Vaticano)

Pa

http://www.europaquotidiano.it/2013/11/26/ecco-il-testo-del-manifesto-programmatico-di-francesco/